Civita di Bagnoregio - Fonte foto Wikipedia
“Civita è una frazione del comune di Bagnoregio, famosa per essere denominata "La città che muore". Abitata da una decina di persone e situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche "la città che muore".“Civita è una frazione del comune di Bagnoregio, famosa per essere denominata "La città che muore". Abitata da una decina di persone e situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche "la città che muore".
Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi. Sorge su una delle più antiche vie d'Italia, congiungente il Tevere (allora grande via di navigazione dell'Italia Centrale) e il lago di Bolsena. All'antico abitato di Civita si accedeva mediante cinque porte, mentre oggi la porta detta di Santa Maria o della Cava, costituisce l'unico accesso al paese. La struttura urbanistica dell'intero abitato è di origine etrusca, costituita da cardi e decumani secondo l'uso etrusco e poi romano, mentre l'intero rivestimento architettonico risulta medioevale e rinascimentale. Numerose sono le testimonianze della fase etrusca di Civita, specialmente nella zona detta di San Francesco vecchio; infatti nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco vecchio è stata ritrovata una piccola necropoli etrusca. Anche la grotta di San Bonaventura, nella quale si dice che San Francesco risanò il piccolo Giovanni Fidanza, che divenne poi San Bonaventura, è in realtà una tomba a camera etrusca. Gli etruschi fecero di Civita (di cui non conosciamo l'antico nome) una fiorente città, favorita dalla posizione strategica per il commercio, grazie alla vicinanza con le più importanti vie di comunicazione del tempo.
Del periodo etrusco rimangono molte testimonianze: di particolare suggestione è il cosiddetto “Bucaione”, un profondo tunnel che incide la parte più bassa dell'abitato, e che permette l'accesso, direttamente dal paese, alla Valle dei Calanchi. In passato erano inoltre visibili molte tombe a camera, scavate alla base della rupe di Civita e delle altre pareti di tufo limitrofe che purtroppo furono in gran parte fagocitate, nei secoli, dalle innumerevoli frane. Del resto, già gli stessi Etruschi dovettero far fronte ai problemi di sismicità e di instabilità dell'area, che nel 280 a.C. si concretarono in scosse telluriche e smottamenti. All'arrivo dei romani, nel 265 a.C., furono riprese le imponenti opere di canalizzazione delle acque piovane e di contenimento dei torrenti avviate dagli etruschi” [11].
Un breve video su Civita di Bagnoregio
Il lago di Bolsena - Fonte foto Wikipedia
"Il lago di Bolsena (in latino: Lacus Volsiniensis / Lacus Volsinii) è un lago dell'Italia centrale formatosi oltre 300.000 anni fa in seguito al collasso calderico di alcuni vulcani appartenenti alla catena dei monti Volsini. È il lago di origine vulcanica più grande d'Europa […]. Le coste del lago sono generalmente basse e sabbiose (caratteristica la sabbia di colore nero, residuo degli antichi vulcani) in alcuni tratti anche paludose. Tuttavia la costa non è affatto monotona ma è interrotta spesso da piccole e basse penisole. I promontori veri e propri sono pochi e per la precisione: il Monte Bisenzio, che chiude a ovest i Monti Volsini, Punta San Bernardino, la penisola di Capodimonte, la punta di Sant'Antonio. Lungo le coste si alternano rive placide e tranquille, ideale per rilassarsi e per pescare, a campi e orti, ricoperti di ulivi, vigne e ortaggi. Dove l'uomo è meno presente si trovano boschi isolati di querce, castagni, salici con estesi canneti che offrono rifugio per i nidi di molti uccelli lacustri. Agli alberi spesso vengono stese ad asciugare le grandi reti dei pescatori, accanto alle loro barche, le stesse da secoli, con remi asimmetrici e il posteriore che funge da timone e viene manovrato stando in piedi” [2].
Il lago di Vico ed il Monte Venere - Fonte foto Wikipedia
“Il lago di Vico (in latino: Lacus Ciminus o Lacus Ciminius) è un lago di origine vulcanica dell'Italia centrale situato nella provincia di Viterbo. Esso vanta il primato di altitudine tra i grandi laghi italiani con i suoi 507 m s.l.m. Per le sue peculiari caratteristiche naturali, il comprensorio Vicano è incluso tra le aree di particolare valore naturalistico del Lazio e tra i biotopi di rilevante interesse naturalistico in Italia. È circondato dal complesso montuoso dei monti Cimini, in particolare è cinto dal monte Fogliano (965 m) e dal monte Venere (851 m), è parte della Riserva naturale Lago di Vico. Il lago di Vico è una Riserva Naturale ed area protetta sin dal 1982 […].
Un territorio così ricco di diverse specie vegetali e di ambienti diversi fra loro consente lo sviluppo della vita a molte specie animali. L'ittiofauna, favorita dalla buona qualità delle acque, comprende specie autoctone (il luccio e la tinca) e specie alloctone (il coregone, il persico reale e l'agone). Numerosi gli anfibi come la rana verde, la raganella, il rospo comune e quello smeraldino; tra i rettili la natrice dal collare, la testuggine comune e il colubro d'Esculapio. Tra i mammiferi, scomparsa da non molti anni la lontra, sono presenti la nutria, la volpe, il tasso, il cinghiale, la martora, la puzzola e, sempre più raro, il gatto selvatico. Il punto di maggiore interesse e di richiamo per i visitatori è costituito dall'avifauna, assai varia data la presenza di ambienti diversi come il bosco, la palude, i prati umidi, i coltivi e lo specchio d'acqua. Sulle sponde o sul pelo dell'acqua sono osservabili molti uccelli acquatici, dalle folaghe, agli anatidi come il moriglione, la moretta, il germano reale, il fischione, la canapiglia, l'alzavola. Tra le altre specie lo svasso maggiore, simbolo della Riserva, gli aironi bianchi, quelli cinerei, la garzetta, il tarabusino, il porciglione, la sgarza ciuffetto, lo svasso piccolo e gli storni che a migliaia passano le notti invernali sui salici della ripa e sui canneti. I rapaci annoverano il lanario (Falco biarmicus), il nibbio bruno, lo sparviero, la poiana, il gheppio, il falco di palude, il falco pellegrino. Nei boschi vivono rapaci notturni come il barbagianni, l'allocco, il gufo comune, la civetta, l'assiolo. Nel fitto dei boschi vivono anche picchi, ghiandaie, fringuelli, cinciarelle, upupe, scriccioli” [3].
[3] Fonte Wikipedia
“Nel 1417 un artigliano viterbese Battista luzzante, fece dipingere, su una tegola, la Vergine Maria con il Bambino, dal pittore mastro Martello, detto Monetto, modesto esponente di quel mondo artigiano che continuava ad attingere con estenuata continuità gli elementi costitutivi dell'espressione artistica nella cultura senese da sempre caratterizzata da uno spiccato conservatorismo devoto ed intimistico, quasi una cifra caratteristica la tenera affettività del Bambino colto in atto di chiedere il seno alla madre […].
Si racconta che un eremita senese, Pier Domenico Alberti ed una donna viterbese, tal Bartolomea, tentarono inutilmente diportarla nelle proprie abitazioni, ritrovandola sempre sulla quercia e che un cavaliere per sfuggire ai suoi inseguitori si gettò ai piedi dell'albero affidandosi alla protezione della Vergine che lo rese invisibile, salvandolo dai suoi nemici.
Quando nel 1467 una violenta pestilenza colpì l'Alto Lazio, la popolazione si strinse intorno alla piccola immagine per ottenere la salvezza […].
La quercia su cui era appesa la tegola fu inizialmente inglobata in una modesta capanna di legno, ma già nel 1470 fu posta la prima pietra dell'imponente complesso monastico, affidato agli uffici dei Domenicani dopo una breve e poco felice parentesi con i frati Gesuati, in continua lite con i membri della Societas Gloriosae Virginis Mariae ad Quercum, nata per amministrare le elargizioni dei numerosi pellegrini. Sotto l'amministrazione dei frati predicatori la costruzione del complesso monastico e della chiesa rinascimentale […] andava realizzandosi con una concezione ed un programma di straordinaria eccezionalità.
Il desiderio di rendere onore alla miracolosa immagine rendeva accettabile qualunque sforzo economico […]; nel 1490 fu commissionato al grande Andrea Bregno il tempietto che ingloba la sacra quercia […]; nei primi anni del secolo seguente, già a buon punto i lavori edilizi, furono eseguite le lunette in terracotta invetriata da Andrea della Robbia” [4].
[4] Fonte provincia.vt
I giardini di Villa Lante - Fonte foto Wikipedia
“Bagnaia si trova lungo una strada romana che attraversa i Monti Cimini, un tempo molto trafficata, che divenne in seguito parte della Via Francigena. Tuttavia la prima menzione specifica di Bagnaia è medievale: in un documento del 963, l'abitato è indicato come Bangaria. Le terre di Bagnaia erano, fin dal XIII secolo, di proprietà del Papa, che come di consuetudine, le affidava al vescovo della vicina Viterbo. Tuttavia solo nel XVI secolo vi fu costruita una residenza episcopale. Nel corso del XVII secolo il villaggio si arricchì di qualche architettura di pregio, specialmente dopo che la costruzione di Villa Lante ne aumentò la popolarità come luogo di vacanza […].
Villa Lante a Bagnaia, frazione di Viterbo è, assieme a Bomarzo, uno dei più famosi giardini italiani a sorpresa manieristici del XVI secolo […]. Pur in mancanza di documentazione contemporanea, la sua ideazione è attribuita a Jacopo Barozzi da Vignola. Per chi vi arriva dopo aver appena visitato Palazzo Farnese a Caprarola la prima notevole impressione è la differenza tra le due ville del Vignola, pur erette nella stessa area, nello stesso periodo, e nello stesso stile architettonico: le somiglianze fra i due monumenti sono poche […]. La costruzione cominciò nel 1511, ma fu portata a termine intorno al 1566 su commissione del cardinale Gianfrancesco Gambara. La villa è conosciuta come "Villa Lante". Tuttavia non ha acquisito questo nome se non quando, nel XVII secolo, passò nelle mani di Ippolito Lante Montefeltro della Rovere, Duca di Bomarzo, quando la costruzione aveva già 100 anni di vita […]. I giardini costituiscono l'attrazione principale di Villa Lante, specialmente i giochi d'acqua, dalle cascate alle fontane ai grottini sgocciolanti. Questa armonia di acque e la perfezione del suo flusso fu raggiunta solo quando l'architetto chiamò a sé, da Siena, uno specialista di architettura idraulica, Tommaso Ghinucci con il compito di supervisionare il progetto idraulico. Fu consultato anche il noto architetto di giardini Pirro Ligorio, ma è il genio di Ghinucci che fluisce e rivive ancor oggi nei suoi giardini” [5].
[5] Fonte Wikipedia
“La faggeta del monte Cimino, con una estensione di circa 50 ettari, è tra le più maestose ed imponenti dell'Italia centrale. La sommità dell'altura fu occupata da un importante abitato della tarda età del bronzo, di cui si conserva quasi interamente la vasta fortificazione perimetrale, risalente all'età del bronzo finale (1150 a.C. circa) e che racchiude un'estensione di circa 50.000 metri quadrati; il vasto recinto artificiale di pietre, forse diviso in due settori, di cui uno comprende una ulteriore e più piccola area fortificata di circa 5.000 metri quadrati (presso la torre moderna), fu identificato dagli archeologi già intorno al 1890, ma la sua esplorazione scientifica è stata affrontata solo a partire dal 1976.
Dal 2009 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l'Università Sapienza di Roma conducono campagne di scavo estive nel villaggio protostorico; oltre a notevoli risultati riguardanti le conoscenze della comunità insediata sul Cimino nell'età del bronzo, queste ricerche hanno consentito di individuare due fasi etrusche di rioccupazione dell'area, con edificazione di un fortilizio: la prima fase, di epoca arcaica (circa VI sec. a.C.), attesta l'importanza del possesso strategico della sommità nel corso della prolungata e anche conflittuale dialettica tra le metropoli tirreniche; la seconda fase può invece essere messa in diretta relazione con le guerre mosse da Roma agli Etruschi dopo a presa di Veio altresì documentata dalle fonti letterarie (IV secolo a. C.)” [6].
[6] Fonte Wikipedia
L'abbazia - Fonte foto Wikipedia
“Il borgo di san Martino al Cimino vede la sua origine intorno all'XIII secolo, allorquando nella località, che sorge a circa 560 metri di altitudine, fu edificata un'abbazia ad opera dei monaci cistercensi di Pontigny.
Nei secoli successivi, il borgo conobbe una notevole espansione urbanistica, demografica ed economica grazie all'interessamento di Olimpia Maidalchini, più nota come Donna Olimpia, vedova del marchese Pamphilio Pamphilj e cognata di papa Innocenzo X, dal quale ebbe il titolo di Principessa di San Martino al Cimino. Donna Olimpia affidò al Borromini la ristrutturazione architettonica del borgo; questi si occupò dei lavori sull'abbazia cistercense (l'innalzamento dei due campanili, con la funzione aggiunta di contrafforti, è opera sua) e, a sua volta, affidò all'architetto militare Marc'Antonio de Rossi il disegno delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni così come di altri palazzi civili. La realizzazione viene definita un esperimento urbanistico ante litteram: i costruttori del palazzo di corte furono gli stessi che poi acquistarono le case a riscatto, costruite man mano attorno ad esso: i primi esempi di costruzione pianificata. Le casette, addossate le une alle altre, ospitavano i sudditi all'interno del borgo che era dotato di tutto quanto necessitasse (spacci, osterie, divertimenti organizzati). La principessa aveva esentato i sudditi dal pagamento delle tasse, voleva essere benvoluta creando attorno a sé un nutrito stuolo di sudditi, al punto di stabilire una dote alle ragazze che dopo il matrimonio avessero scelto di rimanere nel paese […].
L’abbazia presenta una facciata solenne ornata da un rosone e da una grande polifora gotica: ai lati si ergono due basse torri campanarie di aggiunta posteriore (1651-54) sormontate da cuspidi piramidali e ornate da un orologio (torre di destra) e da una meridiana (torre di sinistra).
Particolarmente armonioso è il retro della costruzione con l'abside poligonale di pietra. Sul fianco della chiesa si aprono i resti del chiostro di cui non restano che poche colonne sobrie ed eleganti. L'interno, semplice ed austero, ricorda le grandi cattedrali gotiche e le abbazie cistercensi per l'altissimo soffitto a crociera, le ampie finestre ed il colonnato con pilastri a croce […]” [7].
[7] Fonte Wikipedia
Il teatro romano di Ferento - Fonte foto Wikipedia
“I resti della città di Ferento (in latino: Ferentium) si trovano a soli 6 chilometri da Viterbo, sulla strada Teverina verso la valle del Tevere. Ferento sorgeva sull'altura di Pianicara, dove molto probabilmente, si insediarono gli sfollati della vicina città etrusca Acquarossa, distrutta intorno al 500 a.C. durante le guerre di espansione di Tarquinia. Nel "Liber Coloniarum" e in un passo dei "Gromatici Veteres" risalente al 123 a.C. si trova la prima menzione della città di Ferento, in riferimento all'assegnazione di una colonia o forse alla spartizione di alcuni terreni demaniali. Dopo la Guerra Sociale (91-88 a.C.) intorno al I secolo, Ferento risulta essere Municipium. Dagli scavi effettuati, è risultato che in età Repubblicana, Ferento era sviluppata lungo il Decumano Massimo della via Ferentiensis, con una disposizione a rettangoli dell'agglomerato urbano, da est verso ovest. Nella prima età Imperiale, Ferento raggiunge il suo massimo splendore, infatti risale a questo periodo la costruzione dei più importanti edifici pubblici, come il Teatro, il Foro, (che però non è stato ancora individuato) le Terme, una Fontana contornata da numerose statue e l'Augusteo. Nel I secolo d.C., risulta essere costruito l'Anfiteatro, posizionato nella zona nord-orientale rispetto agli abitati. Lo splendore di Ferento, continua anche nel secolo successivo e viene definita "Civitas Splendidissima" come è scritto in una epigrafe di marmo rinvenuta nei pressi della città.
Tra gli abitanti di Ferento, spiccano alcuni nomi illustri, come Salvio Otone Imperatore di Roma per pochi mesi nel 69 d.C. e Flavia Domitilla Maggiore figlia di Flavio Liberale e moglie dell'Imperatore Vespasiano dalla cui unione, nacquero Flavia Domitilla Minore, il grande Tito e Domiziano entrambi imperatori di Roma. Dal III secolo d.C. le notizie su Ferento, si fanno più nebulose, comunque dal "Liber Pontificalis", si evince che in quel periodo, in città si praticava il culto per Sant'Eutizio morto nei pressi di Soriano nel Cimino durante le persecuzioni messe in atto dall'imperatore Aureliano nel 269. La città viene citata nel IV secolo dall'imperatore Costantino e altre menzioni sono dei papi Silvestro (314-355) e Damaso (366-384), nei "Tituli Constituiti".
Ferento inoltre fu un opulento Municipio Romano dove le attività principali, erano il commercio, l'agricoltura, l'allevamento, nonché l'estrazione e lavorazione di Tufo e Peperino. Tra le attività ferentane spicca in particolare quella della lavorazione e la commercializzazione del Ferro che era facile da reperire in grandi quantità e soprattutto in superficie, su gran parte del territorio circostante.
Per questi motivi Ferento divenne una città molto ricca, abitata da abili artigiani e potenti commercianti che controllavano i traffici delle merci che si spostavano dalla costa del Tirreno all'entroterra e viceversa. Visti i comfort ed i servizi che la città offriva, erano molte le famiglie romane che la sceglievano per trascorrere i propri periodi di vacanza, aumentando così l'importanza e la fama della città” [8].
L'orco - Fonte foto Wikipedia
“Il Parco dei Mostri, denominato anche Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un complesso monumentale italiano […]. Il Parco si estende su una superficie di circa 3 ettari, in una foresta di conifere e latifoglie. Al suo interno trovano posto un gran numero di sculture di varia grandezza ritraenti animali mitologici, ma anche edifici che riprendono il mondo classico e/o annullano le regole prospettiche o estetiche, allo scopo di confondere il visitatore […].
L'architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) progettò e sovraintese alla realizzazione, nel 1547, del parco, elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. Alcuni studiosi, erroneamente, facevano risalire la "regia" a Michelangelo Buonarroti (E. Guidoni), mentre altri, in particolare per il Tempio citavano il nome di Jacopo Barozzi da Vignola. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino. L'Orsini chiamò il parco Sacro Bosco e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non l'omonima concubina del papa Alessandro VI). Vi sono anche architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche che rappresentano forse le tappe di un itinerario di matrice alchemica. Salvador Dalí ha parlato del Parco dei Mostri come di un'invenzione storica unica. Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi di spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Francesco Petrarca, dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest'ultimo compare ad esempio un dragone d'acciaio con una stanza all'interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo universale, alla fine, forse non potrebbe essere trovato; su un pilastro, però, compare la possibile iscrizione-chiave "Sol per sfogare il core". John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di "incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni - prodotti d'evasione artistica e letteraria". Nel 1585, dopo la morte dell'ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese” [9].
[9] Fonte Wikipedia
La basilica di Santa Margherita - Fonte foto Wikipedia
“La basilica di Santa Margherita, intitolata alla patrona di Montefiascone, è una delle chiese più importanti della provincia una delle cupole più grandi a livello nazionale (27 metri di diametro) ed è riconoscibile da quasi tutte le località della Tuscia e della provincia di Viterbo. Nel febbraio del 1943 papa Pio XII elevò la cattedrale alla dignità di basilica minore.
La cattedrale venne costruita quando il papa Urbano V istituì la diocesi di Montefiascone; la chiesa essendo la più centrale e la più frequentata fu scelta per essere elevata a ruolo di cattedrale.
L'edificazione dalla cripta fino al tamburo tra il ‘400 e il 500, è opera dell'architetto veronese Michele Sammicheli con la probabile collaborazione di Antonio da Sangallo il Giovane. Venne ideato un edificio a due livelli con la chiesa inferiore, al suo interno è ancora ospitante le reliquie di Santa Lucia Filippini e le spoglie del cardinale Marco Antonio Barbarigo, e la chiesa superiore sempre progettata dal Sammicheli. I lavori, per motivi economici, si fermarono al tamburo della cattedrale, coprendola a tetto.
L'edificazione della cupola si verifica durante il 1670 a causa di un terribile incendio durante la notte del venerdì Santo che distrusse il tetto della cattedrale e parte del suo interno. I lavori furono affidati a Carlo Fontana che modificò il disegno originale realizzando una cupola più vicina alle esigenze estetiche del proprio tempo, donando a Montefiascone una cupola costolonata e con evidenti scanalature che avrebbe caratterizzato il panorama del paese in maniera determinante; la nuova cupola venne inaugurata il 16 dicembre 1674. Le torri campanarie e la facciata furono frutto delle idee dell'architetto Paolo Gazola realizzandole in modo molto semplice: gli elementi di decorazione sono le statue di San Flaviano e di Santa Margherita, padroni di Montefiascone, e un timpano classico, sorretto da colonne ioniche e sormontate dallo stemma del cardinal Macchi […]” [10].
[10] Fonte Wikipedia
Le Piscine Carletti - Fonte foto tuttocitta.it
“Le origini delle terme di Viterbo si perdono dunque nel mito, creato per dare un'aura divina alla ricchezza e alle eccezionali virtù terapeutiche delle sue acque. È accertato, invece, che esse furono conosciute e apprezzate già dagli Etruschi: quando i Romani, all'inizio del III secolo a.C., riuscirono a varcare l'"orrenda e impenetrabile" Selva Cimina e a raggiungere le "opulente campagne d'Etruria" (Tito Livio), vi trovarono infatti insediata una civiltà dalla cultura termale già estremamente raffinata. Di essa fecero tesoro, costruendo attorno alle numerose sorgenti edifici sempre più maestosi che, fino a tutta l'età imperiale, resero la città di Viterbo - l'antica Surrena - un polo di notevole attrazione e prestigio per il patriziato romano; un'interpretazione, questa, suffragata dal fatto che il tracciato originale dell'antica via consolare Cassia non ricalcava quello dell'odierna S.S.n.2 attraverso il centro abitato, ma passava invece nelle campagne ad ovest della città, costeggiando lungo undici chilometri ben quattordici stabilimenti, e fungendo dunque da arteria di collegamento diretto tra l'Urbe e le terme viterbesi. La rilevanza del complesso termale è del resto attestata da numerose testimonianze di letterati romani: citate da Tibullo e da Simmaco, lodate per i molteplici benefici alla salute e per la magnificenza degli edifici da Marziale e dal medico dell'Imperatore Tiberio, Scribonio Largo, le terme di Viterbo furono esaltate da Strabone come "dotate di acque tanto abbondanti da rivaleggiare con quelle celeberrime della baia del capo Miseno", località notissima all'epoca per lo straordinario numero di sorgenti. E, come avveniva in genere in età romana per tutti gli stabilimenti termali, anch'esse diventarono un fondamentale luogo di socializzazione e di elaborazione culturale.
Le sorgenti
Bulicame: È la sorgente viterbese più nota, ha una temperatura di 55°C ed affiora in un laghetto formato da un profondo cratere naturale. Posta al centro dell'omonimo parco tra la Strada Tuscanese e la Strada Bagni, alimenta tre vasche frequentate da bagnanti. A sinistra della sorgente una stele riporta i versi della Divina Commedia dantesca in cui è citato il Bulicame. Di fronte all'entrata del parco, inoltre, è possibile visitare il rigoglioso Orto Botanico dell'Università degli Studi della Tuscia.
Piscine Carletti: Manifestazione ipertermale costituita da due sorgenti con caratteristiche simili a quelle del Bulicame e situata alla convergenza della Strada Bagni con la Strada Tuscanese. Ha una temperatura di 58°C, ed alimenta diverse vasche che sono la meta privilegiata di molti bagnanti.
Bacucco: Poste al limite settentrionale del bacino termominerale lungo la Strada Martana, queste sorgenti, dalla temperatura di 39°C e non più visibili in superficie, hanno attualmente una scarsa portata; in tempi remoti però erano molto più rigogliose, come testimoniano i resti dei maestosi edifici termali romani presenti nelle vicinanze.
Zitelle: Sono due sorgenti, di cui una è spontanea e ha una temperatura di 56°C, mentre l'altra (65°C) deriva da una trivellazione che è stata in seguito richiusa.
Bagnaccio: Quest'area comprende diverse sorgenti, sia ipertermali (65-66°C) che ipotermali (23-29°C), accompagnate da notevoli emissioni di gas. Le cinque vasche ospitano in ogni stagione numerosi bagnanti.